No, le gocce di pioggia cadute nei giorni scorsi non erano sufficienti. La Lomellina, il distretto risicolo più importante d’Europa, vive un momento drammatico: ormai è scoppiata una vera e propria “guerra dell’acqua”. Gli agricoltori arrivano a rubarsela di notte, tra di loro: a monte sollevano con le idrovore l’acqua dai canali. Chi è a valle non riceve più niente. L’alternativa sarebbe perdere il raccolto, chiudere l’azienda e non avere neanche il mais per nutrire gli animali col rischio di doverli abbattere. Siccome di notte non c’è vigilanza, nessuno denuncia. Una guerra tra poveri che rischia di lasciare sul campo solo sconfitti.

Agogna

Cristiana Sartori produce riso biologico in Lomellina ed è vicina a Slow Food. “I danni – è la sua testimonianza – sono elevati, perché si stanno trascinando da un anno con l’altro. Non ce ne siamo resi conto negli scorsi mesi per via delle alle forti e abbondanti nevicate in montagna, che hanno comunque in qualche modo alimentato i bacini idrografici verso il mare. Il problema però esiste da qualche anno.

Guardate il torrente Agogna: è secco, e l’irrigazione non è più garantita. Si aprono le crepe perfino nelle risaie. La secchezza intacca le radici. A Olevano, dove lavoro, non piove realmente dall’8 dicembre. Le precipitazioni occasionali di questi giorni non hanno bagnato neanche la polvere. Così il secondo raccolto è perduto”. Un inferno. 

 

Parla Coldiretti.

Non c’è mai stato un appello così unanime: Stefano Greppi, presidente di Coldiretti Pavia, parla di “situazione apocalittica”, con danni superiori a 2 miliardi di euro e col rischio “di non avere il risotto l’anno prossimo”. L’alternativa è importarlo, a prezzi superiori con una qualità più bassa. Il livello del Po la scorsa settimana non è mai stato così basso a memoria d’uomo, da almeno 80 anni. Il livello idrometrico del fiume Po al Ponte della Becca, presso Pavia, è sceso a -3,7 metri. Lo scorso anno nello stesso periodo era un metro più alto. I dati sono di Coldiretti.

In sofferenza anche i grandi laghi, come il Maggiore, sceso al minimo storico con on un grado di riempimento del 22%, mentre quello di Como è al 25%. Una situazione “drammatica”, secondo Coldiretti, in un 2022 segnato fino ad ora da precipitazioni praticamente dimezzate, con la mancanza di pioggia che in alcune zone è durata quasi tre mesi con il ricorso alle autobotti, razionamenti e misure restrittive anche per innaffiare orti e giardini.

“Non ha nevicato d’inverno, non c’è stato un accumulo sulle montagne e in alcune zone non piove seriamente da inizio dicembre: la falda acquifera è talmente bassa – è l’analisi apocalittica di Stefano Greppi, presidente di Coldiretti Pavia – che ormai non si può attingere nemmeno da lì. Si parla di danni pari a due miliardi di euro, in Italia. Nella nostra zona c’è il rischio di perdere l’intero raccolto: proprio giugno è il periodo in cui c’è maggiore necessità di acqua per i campi, e nemmeno tramite le turnazioni si riesce a permettere un’adeguata irrigazione non solo del riso, ma anche del mais”. Se manca l’acqua davvero non si può fare niente.

“Deve piovere, non c’è un piano B – prosegue Greppi – e certo aprire le dighe in montagna (come sento proporre) sarebbe una misura palliativa che aiuterebbe solo per alcuni giorni. Il futuro prossimo rischia di vedere l’importazione di prodotti meno buoni e “curati” dall’estero, spendendo di più”.

Ne risentirà anche l’allevamento: alcuni lavoratori saranno costretti a scegliere se nutrire gli animali a peso d’oro, acquistando il mais carissimo da chissà dove, o se abbatterli. Molte aziende agricole chiuderanno: i costi di produzione sono aumentati anche del 300 per cento nei mesi scorsi per via dei rincari delle materie prime, e ci sono imprenditori che hanno già speso e non avranno alcun ritorno economico.

Giovanni Comello, rappresentante del consorzio irriguo Est Sesia, parla di “una guerra tra i poveri, un Far west”. “La vigilanza della zona – prosegue – è prevista solo di giorno mentre questi episodi avvengono di notte o alla domenica. È difficile accettare che quest’anno non ci sarà il raccolto ma io credo che ormai sia una prospettiva inevitabile e vada accettata.

Ora è il momento in cui si cercano i colpevoli ma il problema principale è che manca la materia prima. Niente pioggia, niente neve. L’acqua per tutti non c’è”. 

Parla Slow Food. 

petriniCarlo Petrini lo scrive, sul sito nazionale di Slow Food. “Viviamo la peggiore crisi idrica in 70 anni, e non possiamo dire che la causa è una coincidenza sfortunata data dall’assenza di pioggia che si somma alle temperature più alte rispetto alla media, e alla scarsità di precipitazioni nei mesi invernali che hanno già fatto esaurire le nevi alpine.

No, questi sono i segnali lampanti del cambiamento climatico; di un processo irreversibile che è in atto e per il quale è necessario passare urgentemente dalla teoria alla pratica attraverso l’implementazione di strategie di adattamento. La siccità rischia infatti di passare dall’essere una crisi saltuaria a una problematica cronica. A livello mondiale oggigiorno la siccità colpisce già 1,5 miliardi di persone, con stime delle Nazioni Unite che prevedono che nel 2030 il 47% della popolazione vivrà in condizioni di stress idrico.

Noi italiani, che viviamo in un territorio definito dai climatologi come un hotspot dei cambiamenti climatici, rientriamo a pieno titolo all’interno di quella percentuale (basti vedere alcune misure straordinarie ipotizzate in questi giorni: dalla sospensione notturna dell’acqua potabile alla turnazione dell’irrigazione nei campi. Ci troviamo di fronte a dati che evidenziano un periodo “di magra”, ma che al contempo si scontrano con un fabbisogno d’acqua sempre più alto.

Le soluzioni alla crisi idrica esistono. Vediamo qualche esempio. Dal punto di vista delle istituzioni bisogna indirizzare le risorse del PNRR verso investimenti sensati basati su una seria programmazione d’insieme. Come ad esempio un potenziamento del riutilizzo dell’acqua piovana – ad oggi si attesta all’11% – e la ristrutturazione della rete idrica nazionale che registra perdite pari al 42% dell’acqua immessa.

Pensiamo poi al comparto agricolo che è quello che più dipende e più consuma acqua (circa il 70% del totale). È necessario sostituire l’irrigazione a pioggia con tecniche più mirate ed efficienti. Dotarsi di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. E poi ancora adottare pratiche circolari come il riutilizzo di acque reflue depurate. Un’ulteriore soluzione ce la può fornire la biodiversità con la coltivazione di varietà vegetali locali e stagionali. Quest’ultime, essendosi co-evolute con il territorio, necessitano infatti di meno input esterni tra cui l’acqua, e allo stesso tempo mantengono il suolo vivo e permeabile. Rimanendo in ambito alimentare, anche le azioni individuali possono fare un uso migliore della risorsa idrica.

Dietro al 34% di cibo sprecato annualmente si cela una perdita d’acqua sufficiente a riempire 100 milioni di piscine olimpioniche. È dunque importante comprare solo ciò che siamo davvero in grado di mangiare; preferendo inoltre i cibi vegetali, dal momento che l’acqua necessaria alla produzione è di circa 10 volte inferiore rispetto agli alimenti di origine animale. Dal livello individuale a quello istituzionale le soluzioni per prendersi cura della risorsa più preziosa di cui disponiamo per la nostra sopravvivenza ci sono. È giunto il tempo di metterle in pratica.

Parla Barbara Nappini. 

La presidente di Slow Food, Barbara Nappini, in questa intervista  lancia l’esempio di Anacapri come “un approccio che tenga insieme aspetti ambientali, culturali, sociali, economici ed etici per avviare un processo di rigenerazione: degli ecosistemi, delle relazioni, del pensiero”. Cita anche Terra Madre, l’evento più importante al mondo su cibo e produzione alimentare dove si rimette al centro quel mondo della produzione spesso nascosto e lo si rende visibile e protagonista. Sarà al parco Dora di Torino dal 22 al 26 settembre, nell’ambito del Salone del Gusto. 

I provvedimenti regionali.

Regione Lombardia ha firmato un decreto con il quale, a causa della grave situazione di deficit idrico che sta interessando il territorio e a sostegno della popolazione, dell’ambiente e delle attività produttive interessate, dichiara lo “Stato di emergenza regionale”. Il provvedimento, che resterà in vigore fino al 30 settembre 2022, decreto raccomanda “a tutti i cittadini di utilizzare la risorsa acqua in modo estremamente parsimonioso, sostenibile ed efficace, limitandone il consumo al minimo indispensabile”.

Inoltre, la Regione mette a disposizione dei sindaci dei Comuni della Lombardia uno schema di ordinanza (parte integrante del decreto), su risparmio idrico e limitazioni per l’uso dell’acqua potabile, raccomandandone la relativa adozione, salvo eventuali integrazioni ad essa in base allo specifico contesto e agli effetti della crisi idrica nei rispettivi territori. Il decreto raccomanda ai Comuni della Regione di limitare il più possibile l’impiego dell’acqua potabile per attività per le quali non ne sia necessario l’uso (quali ad esempio il lavaggio strade, l’irrigazione dei parchi pubblici e degli impianti sportivi quali campi di calcio, tennis, golf).

Il decreto firmato dal presidente Fontana esplicita altresì “di dare atto, in relazione alla situazione in essere, della necessità che gli enti competenti pongano in essere le azioni necessarie a contenere e ridurre le conseguenze della crisi idrica in atto, ivi compresa l’attivazione, ove possibile, di fonti alternative di approvvigionamento idrico”. E ancora “di stabilire che: nei bacini idrografici della Lombardia le utenze irrigue concessionate, sia relative ad acque superficiali sia sotterranee, dovranno essere gestite con parsimonia. In particolare, al fine di assicurare la massima valorizzazione della risorsa idrica irrigua disponibile i concessionari delle utenze irrigue daranno priorità al servizio irriguo tenendo conto delle colture e della loro fase fenologica”.

I concessionari delle utenze irrigue dovranno valutare “l’attivazione presso i propri consorziati di campagne di sensibilizzazione per l’uso accorto della risorsa idrica orientate al soddisfacimento dei reali fabbisogni irrigui delle colture” e “tutte le utenze irrigue assoggettate agli obblighi di monitoraggio previsti dalla D.G.R. 6035/2016 dovranno intensificare la frequenza di trasmissione dei dati al centro dati acqua e territorio rurale che gestisce il sistema regionale di monitoraggio. I dati relativi ai prelievi e ai deflussi rilasciati nei corsi d’acqua devono essere trasmessi con cadenza settimanale al centro dati acqua e territorio rurale che li condivide con Arpa Lombardia”.